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Nacqui in una piccola città poco distante da Dublino, Ardee, da mio padre Dàvid Lelfe (francese) e Màev Clànnad. Come tutte le città dell'Eire,anche Ardee conserva l'essenza della cultura celtica e fa in modo che la modernità non la scalfisca.

Fin da piccola mi attaccai subito a mia madre, poiché papà girava il mondo a causa del suo lavoro. E non è che egli ama
sse molto mia madre, o almeno questa era l'impressione che mi dava. Temevo, avendo ragione, ch'egli pensasse di mia madre ciò che pensavano tutti, e cioè che fosse pazza.

Fui io l'unica che invece non lo pensava affatto ma che anzi, era attratta dal suo fare e le sue storielle sull'aldilà e le cose paranormali. Io le credetti per lungo tempo senza mai mettere in dubbio che avesse o no ragione. Perchè era mia madre.

 

Una mattina d'agosto, andai con lei sulla costa a nord di Dublino, dalle insenature e i promontori frastagliati e bellissimi, che si gettano a strapiombo nel mare azzurro. Splendeva anche il sole, era una giornata bellissima come non se ne sono mai viste. Anche perchè mio padre era assente, e non c'era nulla che potesse rovinare quel giorno.  Questo pensai   fino a quando, uscita dall'acqua dopo un bagno, iniziai a camminare sulla sabbia, ma mia madre non era sotto il nostro ombrellone.
Un gruppo di persone osservavano accerchiate attorno a qualcosa, che subito ebbi la curiosità di vedere.
Il corpo freddo e senza vita di mia madre era sdraiato sulla sabbia, un uomo che cercava di rianimarla.
[Mamma!] la chiamai.

Lei non rispose, non si mosse.
Le toccai una spalla a scuoterla, ma non successe nulla, Era morta.
Il mio sguardo si posò sul mare di fronte a me, e da quel momento non mi immersi mai più nell'acqua.

 

Piansi diverse notti, senza uscire di casa, il che non mi creò molti problemi visto che di amici non ne avevo.
Solo dopo diversi giorni, mio padre venne a prelevarmi e mi portò in Italia, e quivi scoprìi che aveva un'amante.
Ma non mi tenne con sé: all'età di soli otto anni, fui rinchiusa in un ospedale psichiatrico.
All'interno di quelle mura bianche come i cadaveri, capìi che la mia infanzia era finita nel momento in cui avevo varcato, contro il mio volere, la soglia di quel luogo.

Mi maltrattavano se dicevo bugie, ma io esprimevo solo quello di cui ero fermamente convinta:
[La mamma è stata uccisa da un fantasma!], gridavo.
Ma solo le prime settimane. Poi decisi di dimenticare tutto e di fare il gioco dei medici affinché mi ritenessero sana di mente e mi lasciassero andare.
Ivi rimasi fino a dodici anni.



 

La mia infanzia:

Le mie tante compagne di stanza, appena entrata in "quel luogo", mi aiutarono dapprima a sopportare la pesantezza della struttura e delle persone che si trovavano all'interno. Ma in realtà loro erano casi molto più seri di me.
Una di queste, Anita, aveva due anni in più di me, ed era accanto al mio letto. Adorava le caramelle gommose e osservava insistentemente quelle che mio padre mi portava ogni tanto.

Venni punita per aver tentato di ucciderla, non capendo all'inizio i motivi di quelle accuse.
Seppi solo dopo un isolamento di due giorni che, datole uno dei pacchetti delle mie caramelle, tentò di strozzarsi con la plastica trasparente che le conteneva.
Intuìi solo allora che non erano i colori di quei dolciumi che andava ad osservare, quando li tenevo tra le mani e la carta faceva il suo solito rumore...
Avevo 8 anni.

 

Ho quasi ucciso Anita...

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